I meccanismi biochimici della fatica sono complessi come lo sono quelli relativi alla richiesta metabolica di energia.
Durante una partita di calcio di 90 minuti, per esempio, l’intensità media di un calciatore, al netto del ruolo che ricopre, si attesta intorno al 70% del VO 2 Max ed è direttamente proporzionale ad una notevole quantità di energia generata dall’attività anaerobica poiché la letteratura scientifica parla di un range che si attesta tra le 150 e le 250 azioni ad alta intensità che un calciatore compie durante tutto l’arco della gara.
A tal proposito, se ci si soffermasse ad una valutazione del movimento tramite strumentazione ad hoc o match analyst durante le predette azioni ad alta intensità, ci si renderebbe conto del fatto che, mentre la maggior parte degli atleti ben allenati tendono ad essere fisiologicamente affaticati verso gli ultimi scampoli della competizione, momento nel quale subentra l’aspetto puramente psicologico a supportare eventuali criticità atletiche, di contro vi sono atleti che invece mostrano una c.d. “Fatica Temporanea” intesa come un momento di difficoltà atletica immediatamente dopo lo sforzo ad alta intensità e questo, ritengo, è l’aspetto che, attraverso un monitoraggio biometodologico costante del calciatore, bisogna sempre cercare di scongiurare durante le fasi di una partita di calcio al fine di mantenere una condizione fisico – atletica omogenea ed oltre la media per tutti i 90 minuti.